Le malattie parodontali sono conseguenza dei processi di difesa infiammatori e immunitari dell’ospite nei confronti della placca batterica (Sanz e van Winkelhoff 2011) e sono causate dalla presenza di batteri organizzati in un ecosistema definito come biofilm adeso alle superfici dure del dente (Marsh et al. 2011). Questi batteri, pur rappresentando il fattore eziologico indispensabile, da soli non determinerebbero l’insorgenza della malattia (Darveau 2010). Perché la malattia si manifesti e possa progredire è necessario che il paziente presenti anche una suscettibilità individuale determinata da alcuni fattori come un profilo genetico suscettibile alla malattia parodontale, fattori di rischio sistemici (diabete mellito) o comportamentali (tabagismo e scarso controllo di placca) (Kinane e Coll 2011).
Il piano di trattamento di base è costituito dalla strumentazione meccanica e dalla rimozione manuale del biofilm e del tartaro dalle superfici del dente (Cobb et al. 2002). Questo trattamento è efficace in un numero molto elevato di pazienti e di siti, pur essendo una procedura influenzata da diversi fattori che possono alterarne l’efficacia. Abbiamo a volte siti molto profondi e di difficile accesso, superfici radicolari irregolari, forche compromesse, situazioni in cui persiste, malgrado il trattamento meccanico, un quadro clinico infiammatorio riconducibile a una colonizzazione dei batteri veicolati dal biofilm, il cui solo trattamento meccanico non è risolutivo.
La terapia antibiotica
Il razionale dell’utilizzo di sostanze antibiotiche aggiuntive va appunto nella direzione di eradicare o ridurre i batteri veicolati dal biofilm che hanno colonizzato i tessuti parodontali responsabili della parodontite. La terapia antibiotica può essere somministrata sia per via sistemica che per via topica.
La somministrazione sistemica permette di agire sui batteri disseminati in tutto il cavo orale, potendo provocare però degli effetti indesiderati nel paziente. La somministrazione topica invece, essendo veicolata direttamente in prossimità della lesione, presenta l’indubbio vantaggio di raggiungere facilmente concentrazioni efficaci del farmaco senza provocare nel contempo problemi sistemici.
Tra i prodotti più efficaci somministrabili per via topica abbiamo nel tempo testato l’efficacia delle tetracicline in diverse formulazioni. Oggi abbiamo sul mercato la doxiciclina iclato al 14% in gel biodegradabile di acido polilattico-poliglicolico a rilascio controllato (Ligosan, Heraeus Kulzer), che presenta delle proprietà farmacologiche particolarmente vantaggiose:
– azione batteriostatica sia su gram- che gram+;
– capacità di attraversare tessuti duri e molli;
– elevata sostantività raggiungendo una concentrazione fino a 1.300 µg/mL dopo due ore, mantenendo al decimo giorno una concentrazione fino a 70 µg/mL;
– azione antinfiammatoria inibendo le collagenasi (MMP-8), IL1 e capacità di ridurre gli osteoclasti.
Il suo utilizzo è stato testato in letteratura a favore di eventi infiammatori acuti localizzati, in pazienti al termine della terapia causale con tasche che presentano ancora sondaggi ³ 5 mm e in pazienti con buon controllo di placca che presentano recidive durante il mantenimento.
Caso clinico
Il caso che vi presento riguarda un paziente affetto da parodontite cronica di grado moderato (Page e Eke 2007) trattato inizialmente con successo con la sola terapia parodontale non chirurgica. Durante la fase di mantenimento, a un anno circa dalla terapia attiva, in occasione di un richiamo di igiene, era presente un sito con sanguinamento al sondaggio (Bop+) e una profondità di 6 mm.
Si è proceduto quindi a una leggera strumentazione del difetto al termine della quale è stato inserito il Ligosan.
Dopo dei controlli mensili in cui il paziente veniva richiamato per controllare la sua compliance, a tre mesi in rivalutazione il paziente presentava la remissione del quadro edematoso iniziale e una profondità di sondaggio fisiologico pari a 4 mm.

Guerino Paolantoni
Socio attivo della Società italiana di parodontologia ed implantologia (Sidp) e Fellows dell'International Team for Implantology (Iti)