Nel trattamento non chirurgico della malattia parodontale, la scelta di utilizzare esclusivamente strumenti manuali, esclusivamente strumenti a ultrasuoni oppure adottare un approccio combinato comporta differenze cliniche significative? Secondo Michael Paterson e i suoi colleghi dell’Università di Glasgow la risposta è no, come si può leggere sul British Dental Journal.
I due metodi principali di rimozione meccanica della placca sottogengivale fanno affidamento alla strumentazione manuale o alla strumentazione a ultrasuoni. La prima prevede l’utilizzo di una gamma di curette appositamente progettate per rimuovere i depositi dalle radici e dalle superfici dei denti. La strumentazione a ultrasuoni comprende una punta metallica a vibrazione rapida collegata a un sistema di irrigazione ad acqua, che mantiene la punta fresca e rimuove i detriti dal sito operativo. L’obiettivo finale di entrambe le tecniche è rimuovere il biofilm, la placca e il tartaro.
Le tecniche di strumentazione parodontale sono state confrontate attraverso una varietà di misure. Diversi studi presenti in letteratura hanno dimostrato pari efficacia nella riduzione della profondità di sondaggio, nel guadagno di attacco clinico, nella riduzione del sanguinamento al sondaggio, nella capacità di rimozione della placca e nella riduzione dei batteri del red complex (quelli che maggiormente si associano alle forme gravi di malattia parodontale). Per questo, attualmente, la scelta di quale tecnica di strumentazione utilizzare dipende soprattutto dalle preferenze personali dell’odontoiatra. Inoltre nella pratica clinica, è comune per un operatore combinare le tecniche di strumentazione, secondo un “approccio combinato o misto” al trattamento.
Indipendentemente dalla tecnica di strumentazione scelta, anche la programmazione della somministrazione del trattamento merita considerazione. Il medico ha la possibilità di adottare un approccio quadrante per quadrante oppure full-mouth. Nel primo caso, sono generalmente necessari quattro appuntamenti, nel secondo ne bastano uno o due, ma anche in questo caso l’evidenza scientifica suggerisce risultati clinici comparabili. La preferenza dell’operatore e la disponibilità del paziente per il trattamento sono attualmente fattori chiave nel processo decisionale per la scelta dell’approccio di somministrazione del trattamento. Per alcuni pazienti con malattie cardiovascolari, potrebbe essere preferibile somministrare il trattamento in visite di non più di 30-45 minuti per ridurre al minimo l’impatto sistemico del trattamento parodontale. La pandemia di Covid19 e le possibili complicazioni delle procedure che generano aerosol hanno creato un altro fattore di cui tenere conto nella scelta della tecnica di strumentazione.
In questo contesto si inserisce il nuovo studio dei ricercatori scozzesi, che hanno trattato 55 pazienti con parodontite con terapia non chirurgica, utilizzando strumenti manuali, strumenti a ultrasuoni o un approccio combinato. Tutti i pazienti sono stati rivalutati tre mesi dopo il trattamento. I parametri clinici, il tempo impiegato e i costi della terapia parodontale non chirurgica sono stati esplorati all’interno di questa analisi post hoc.
Ancora una volta, non ci sono state differenze clinicamente rilevanti nei parametri clinici tra i gruppi al giorno 90. Gli strumenti a ultrasuoni hanno però richiesto in media meno tempo per completare il trattamento rispetto agli strumenti manuali; inoltre, combinata con un approccio half-mouth, la tecnica a ultrasuoni ha comportato costi inferiori.
Giampiero Pilat
Giornalista Italian Dental Journal