Le correlazioni che sussistono tra patologie orali e alcune patologie sistemiche sono ormai comprovate da una robusta evidenza scientifica. Una delle più attuali linee di ricerca è quella sulle interferenze che i farmaci assunti per curare le malattie generali dell’organismo hanno sulle affezioni che interessano la bocca. È facilmente intuibile l’utilità di poter comprendere a fondo quanto e come le terapie farmacologiche sistemiche – che una popolazione come quella attuale in progressivo invecchiamento assume sempre più massicciamente – siano in grado di acuire o alleviare le malattie orali.
Sappiamo ormai con certezza che l’infiammazione svolge un ruolo significativo nella patogenesi della malattia parodontale placca-indotta, e questo fornisce lo spunto per approfondire gli effetti dei farmaci disponibili per curare le patologie infiammatorie a livello sistemico proprio sui processi scatenanti le patologie che interessano il parodonto. La natura e la patogenesi della malattia parodontale può essere influenzata da diversi farmaci, in particolare da quelli che agiscono a livello infiammatorio e immunitario (antinfiammatori e immunosoppressori). Ad esempio i farmaci antinfiammatori non steroidei, nei pazienti curati sul lungo termine, hanno dimostrato di poter intervenire a limitare la progressione della malattia parodontale e di influenzare la risposta dei tessuti parodontali alla placca batterica.
Discorso più controverso per i corticosteroidi: diversi studi compiuti su cavie animali hanno evidenziato quanto tali farmaci abbiano un ruolo nella perdita ossea alveolare e nel riassorbimento dell’osso, siano in grado di ridurre il numero degli osteoblasti e dei fibroblasti della matrice intercellulare (condizione identica a quella presente nelle persone affette da osteoporosi) e al contempo mostrino effetti antinfiammatori sui tessuti gengivali.
Prendendo in considerazione, invece, i farmaci immunosoppressori, nonostante gli effetti collaterali avversi, anche gravi, derivanti dalla loro assunzione possano orientare verso l’esclusione totale di qualsiasi possibilità di impiego nella gestione terapeutica della malattia parodontale, risulterebbe di indubbio interesse clinico arrivare a capire appieno come e in quale misura questa categoria farmacologica sia in grado o meno di condizionare eziologia e patogenesi delle più diffuse malattie orali.
I dubbi a tal proposito sono oltremodo diffusi. Ad esempio, alcuni studi clinici eseguiti tra gli anni ‘70 e ‘80 dimostravano quanto i pazienti sottoposti a terapie immunosoppressive per lungo tempo avessero un certo grado di protezione contro la parodontite. Oggi, però, gli immunosoppressori più selettivi disponibili attualmente sul mercato (ciclosporina o tacrolimus) hanno evidenziato di avere altresì un effetto negativo sull’omeostasi ossea, con conseguente aumento degli osteoclasti e diminuzione in termini di formazione di tessuto osseo, seppure tale meccanismo non sia del tutto chiaro.