
Roberto Rosso, presidente Key-Stone
SPECIALE EXPO 3D
Raramente nel dentale si è assistito a un fenomeno di queste proporzioni: oggi in Italia più della metà delle protesi sono realizzate con flusso digitale. L’impronta però è ancora tradizionale: solo il 9% degli studi possiede uno scanner.
Intanto, secondo un’indagine che viene presentata a Expo3D, un terzo dei dentisti è a disagio con il digitale. Anche per questo la Digital Dentistry Society, attraverso la consensus conference D20, lavora a un documento per colmare il gap tra avanzamento tecnologico e pratica clinica
La protesi proveniente da flusso digitale, in Italia, riguarda ormai oltre la metà dei manufatti protesici. Una crescita importante avvenuta soprattutto negli ultimi tre anni, anche se una gran parte di questi elementi “digital flow” sono realizzati ancora attraverso il sistema di “full outsourcing”, ovvero inviando fisicamente le impronte o i modelli ai laboratori o ai centri di fresaggio.
In Italia poco più di un laboratorio su quattro dispone di uno scanner e circa il 15% è dotato di un fresatore “in house”, anche se, soprattutto grazie al super ammortamento previsto dalla finanziaria del 2015, le previsioni di sviluppo fino a tutto il 2017 sono davvero significative.
Stando alle dichiarazioni di tecnici e medici nell’ultima inchiesta OmniVision, che ogni anno misura le principali tendenze su un campione rappresentativo di studi dentistici e i cui risultati sono presentati a Rimini durante Expodental Meeting, è atteso un ulteriore importante incremento nella digitalizzazione del laboratorio: è infatti ormai difficile pensare alla produzione protesica dei prossimi anni senza includere l’uso, diretto o indiretto, del Cad-Cam.

Secondo l’indagine Key-Stone solo il 9% degli studi dentistici in Italia si è dotato di scanner intraorale (nella foto, lo scanner mobile intraorale 3M che funziona esclusivamente su tablet, in mostra alla fiera Ids di Colonia)
Lo studio dentistico al bivio
Interessante anche la situazione nello studio dentistico: si consideri a tal proposito che poco meno dell’80% degli studi propone ai propri pazienti protesi proveniente da flusso digitale, e che tale percentuale era del 57% nel 2016 e del 36% nel 2015 (grafico 1).
Si tratta di una crescita davvero importante e raramente nel dentale abbiamo assistito all’esplosione di un fenomeno di queste proporzioni. La proposta ai pazienti di protesi effettuata con flusso digitale è iniziata ormai almeno dieci anni fa e il ritmo di crescita fino al 2014 è stato abbastanza regolare, stimolato peraltro dal progressivo incremento della digitalizzazione dei laboratori fornitori, ma nell’ultimo triennio – come indicato nel grafico 1 – la percentuale di studi dentistici che si sono avvicinati a questo tipo di protesi è più che raddoppiato.
Nonostante ciò, la percentuale di studi dentistici che possiede oggi uno scanner intraorale è del 9% circa. Di conseguenza, poco meno del 90% degli elementi protesici realizzati dal laboratorio attraverso il Cad-Cam si origina da impronte tradizionali e conseguente trasferimento fisico delle stesse (o dei modelli) alla produzione. Quando a inizio articolo si citano infatti il 50% di elementi provenienti da digital flow, si intende ciò che il produttore realizza in digitale, ma l’origine del lavoro, cioè l’impronta, è ancora analogica (in elastomero) in oltre il 90% dei casi.
È comunque molto interessante notare che oltre un terzo di queste tecnologie sono state acquistate nell’ultimo anno e che almeno il 30% dei non possessori si dichiara certo di investire in tecnologie Cad-Cam entro due anni.
Un cambiamento da metabolizzare
Nonostante il forte orientamento verso il digitale cui stiamo assistendo, sono ancora tanti i dentisti che dichiarano di sentirsi a disagio rispetto a queste nuove tecnologie per la produzione protesica (grafico 2).
Ben il 30% dei dentisti intervistati dichiarano infatti di sentirsi piuttosto lontani e a disagio rispetto alle tecnologie digitali. La stessa indagine effettuata nel 2015 presentava esattamente gli stessi valori. Ciò significa che ci troviamo di fronte a un numero importante di operatori, almeno 15.000, che non risolvono la problematica legata all’attitudine verso queste tecnologie. Persino tra chi già fornisce ai pazienti protesi da flusso digitale, ben uno su quattro ritiene di sentirsi a disagio e, quindi, il processo inizia sempre con modalità analogica, ovvero attraverso l’impronta.
Recenti focus group di dentisti, realizzati in Italia e all’estero, ci confermano che anche tra gli utilizzatori di scanner e fresatori chairside la curva di apprendimento è stata piuttosto lunga, di circa un anno, il che comporta un notevole sforzo da parte dello studio dentistico, anche in termini organizzativi, poiché in alcuni casi per un certo periodo di tempo si opera parallelamente con impronte digitali e tradizionali, in attesa di trovare la giusta affidabilità e di “sentirsi sicuri”.
Forse anche per questo motivo, la principale richiesta che viene da centinaia di dentisti intervistati, oltre a quella di ridurre la barriera del prezzo, è quella della formazione costante e del supporto tecnico durante l’utilizzo. Ciò che sembra spaventare di più è il fatto di acquistare una tecnologia che cambia radicalmente il proprio lavoro, col rischio di essere abbandonati a se stessi. È quindi possibile che lo sviluppo della domanda sia nelle stesse mani di chi produce, che dovrà lavorare molto su informazione, formazione e supporto costante nel post-vendita.
Roberto Rosso
Presidente Key-Stone